Epica Atacama giorno 2, Qhapaq Nan
Ci svegliamo infreddoliti, e ci mettiamo subito in fila per la colazione. La prima tappa ci ha fatto capire che non si scherza, e la prima notte ha fatto altrettanto. Cerchiamo una tazza di the bollente che ci riscaldi un po’, in attesa di capire se siamo riusciti a smaltire le fatiche della prima giornata di gara. Uova, pasta, frutta, muffin, pane e marmellata, direi che si puo’ andare a controllare che la bici sia in ordine e preparare le borracce. Ci aspettano 79,8 km per un dislivello di 1483 metri, ma ci rassicurano: il fondo e’ migliore, dovremmo riuscire ad arrivare al traguardo con meno fatica, senza affondare spesso nella sabbia. La giornata e’ limpida, e si vedono bene le sconfinate distanze che ci circondano. Il sole, che qui ho soprannominato Efesto, ricomincia a picchiare veramente come se fosse il fabbro degli dei: ci si adegua, pronti, via. Nella salita iniziale si pedala con ritmo costante, e il fondo e’ prima in asfalto, poi comunque duro e compatto. Si tratta di una strada mineraria, e mi colpiscono un paio di segnali stradali, uno conosciuto, l’altro no. Il primo richiama il Camino del Inca, Qhapaq Nan: si tratta di un sistema stradale che riuniva tutte le piu’ importanti citta’degli Incas, largo circa un metro e mezzo, sgombrato dalle pietre, e grazie agli attuali strumenti di telemetria risulta ancora ben visibile. Una rete di oltre seimila km, lungo lo spartiacque delle Ande, che il Cile non aveva mai ben considerato, soprattutto per motivi politici e di sfruttamento del territorio, ma che oggi deve rivalutare in prospettiva turistica. Il secondo segnale scatena invece la mia fantasia. Sembra rappresentare tre fantasmi, e non l’ho visto da nessun altra parte. Un colpo di vento fortissimo mi coglie alle spalle, e sferzando le rocce produce un suono che ricorda quello di voci umane. Mi giro, mi guardo intorno, ma non vedo nessuno: e’ la montagna che sembra parlare, forse l’indicazione avvertiva di questo, forse no. Fatto sta che la cosa ha colpito la mia immaginazione, mi perdo in questo pensiero fino all’inizio della lunga discesa che mi riporta a valle. Pedaliamo a fianco di un fiumiciattolo, che nasce improvvisamente al nostro fianco, e intravediamo un verdissimo vigneto, che macchia di colore le alture grigie e rossastre. Un’indicazione riporta la dicitura aguas mortas: per quanto lo siano riescono a dare vita a una piana di bassi cespugli. Il paesaggio e’ molto diverso da quello del giorno precedente, anche se alcune caratteristiche rimangono costanti, ma la presenza dell’acqua rende questo tratto apparentemente meno ostile. Mancano ormai solo una ventina di km all’arrivo, il piu’ e’ fatto. Ma dal terzo ristoro le cose cambiano, ci sono un paio di km in salita su sasso smosso che le gambe fanno fatica a macinare. Ma abbiamo ancora energie sufficienti, arriviamo sulla strada che unisce Diego de Almagro a Copiap, e in poco tempo ritorniamo all’accampamento. La seconda tappa ha visto Colome controllare la corsa, mentre Cile e Ecuador cercavano quantomeno di ottenere la vittoria di tappa. Gli atleti di casa hanno avuto la meglio, grazie a Jose’ Pablo Ramirez, in grado di staccare in prossimita’ del traguardo Joel Levi Burbano, che ha comunque avuto il merito di tentare la sortita, ma che non e’mai riuscito a trovare l’allungo decisivo. Come al solito in campo femminile ottima la prestazione di Anna Ramirez, giunta al traguardo con un tempo di poco superiore alle 3h e 28 minuti. Invariate le classifiche generali.
1) Jose’ Pablo Ramirez 3h 02′ 18” (Cile)
2) Joel Levi Burbano 3h 02′ 21” (Ecuador)
3) Oriol Colome 3h 02′ 21” (Spagna)
(Sandro Bongiorno)